Ossessionati dalla dieta? Un passo verso la malattia

Giornata Mondiale contro le diete
Ossessionati per la dieta? Un passo verso la malattia

Nella nostra ‘società delle indicazioni’ le ossessioni alimentari un disturbo. Ne parliamo con Laura Ciccolini

Quali sono le problematiche che accomunano i pazienti affetti da disturbi alimentari? Esse sono più legate alla società o alla famiglia?
L’ossessione per il peso, per la propria immagine e per il cibo sono le problematiche principali attorno a cui ruota la vita di chi è affetto da disturbi alimentari. I messaggi della società fanno presa su chi ha già una vulnerabilità soggettiva molto forte, un disturbo dell’identità alla base che mostra una falla nel mondo familiare: qualcosa non ha funzionato in famiglia, qualcosa ha impedito la costruzione dell’identità forte e, dunque, i messaggi fanno presa soprattutto sui soggetti più vulnerabili. Le problematiche, dunque, sono legate sia alla componente sociale che a quella familiare.

Esiste una componente genetica nella manifestazione dei disturbi alimentari?
Nessuno, in realtà, oggi può dirlo con certezza. Se ne parla, tutto qui.
In Italia quali sono i disturbi alimentari più diffusi? E il numero di persone affette da disturbi alimentari è cambiato negli ultimi anni?
I più diffusi sono i disturbi non altrimenti specificati, il disturbo di alimentazione incontrollata, poi la bulimia e l’anoressia. In Italia, questi disturbi sono in aumento soprattutto quelli dell’alimentazione incontrollata, sia negli uomini che nelle donne. Due novità bisogna sottolineare: molti di questi disturbi si notano già nell’infanzia, mentre, in passato, erano visibili soltanto nell’adolescenza; e, inoltre, i disturbi alimentari sono in aumento anche nel mondo maschile: sempre più uomini soffrono di disturbi del comportamento alimentare, di ortoressia (un disturbo prevalentemente maschile), di alimentazione incontrollata (con conseguente obesità), di bigoressia, che è una specie di anoressia riversa per cui chi ne è affetto è ossessionato dall’allenamento e dai muscoli. Negli ultimi anni, il fenomeno colpisce sempre più uomini perché credo che ci sia un disturbo d’identità e un’attenzione sul corpo sempre più forte, stimolata da un modello culturale di bellezza maschile che è quello dell’uomo muscoloso e curato.

Il nostro Paese a che punto è con le strategie terapeutiche dei disturbi alimentari? Quali sono le più diffuse?
Ci sono vari centri, sia pubblici che privati, abbastanza diffusi, che si occupano dei disturbi del comportamento alimentare. Ci sono anche le comunità terapeutiche. In ogni caso gli investimenti sono pochi e le strutture sono ancora poche se consideriamo che, teoricamente, la presa in carico dei centri dovrebbe essere multidisciplinare, cioé dovrebbe mettere a disposizione più persone, dal dietologo allo psicoterapeuta e allo psichiatra, per organizzare un team efficiente e preparato, in grado di affrontare tutti gli aspetti e le problematiche del paziente.

Quando in una società nascono dei disturbi comuni, inevitabilmente quei disturbi sono riconducibili ad alcune falle presenti nel sistema, che creano le condizioni favorevoli in cui quei disturbi possono manifestarsi. In che modo il nostro Paese contribuisce, secondo lei, a creare le condizioni sociali e psichiche su cui si sviluppano facilmente i disturbi alimentari?
Direi che la comunicazione gioca un ruolo fondamentale. Le pubblicità creano queste falle e, se poi sono unite agli errori delle famiglie, fanno presa subito.

Esistono delle politiche in Italia e in Europa in grado di far fronte a questo genere di disturbi?
Che io sappia, attualmente, non esistono. Potrebbe essere utile compiere un lavoro che parte già negli asili per aiutare le relazioni familiari e per ‘educare’ le famiglie, visto che molte mamme soffrono di disturbi alimentari e finiscono per riversare sui figli, sia verbalmente che non, un ipercontrollo del peso, del corpo e dell’alimentazione. Bisognerebbe partire dalle famiglie, attraverso le scuole primarie, perché nell’adolescenza i giochi sono fatti e, al massimo, si può puntare ad una diagnosi precoce ma non alla prevenzione.
Di Daniela Rubino

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